Caro Signor Sindaco di Taranto, torno adesso dal funerale di un amico morto di cancro. Io non so se Lei, se tra i miei concittadini esiste qualcuno che porta il conto dei funerali a cui ha presenziato, dei parenti o degli amici morti ammazzati non dalle cosche, non dalla Sacra Corona Unita o dalla Mafia o dalla Camorra, ma dall’inquinamento. Torno adesso ed ho ancora addosso l’odore forte del sudore di mille persone in questa giornata umida in cui sono stato calca e folla attorno a una bara. E non ho il coraggio di guardarmi allo specchio. Allora rivolgo a Lei la domanda che mi martella le tempie, e chissà che prima o poi non mi giunga risposta. Quanti ancora dovranno morire? Vittime di una guerra silenziosa, schierati come bestie da macellare: così giacciamo in attesa che tocchi a noi, che il Male prenda qualcuno che ci è vicino, per dare nuovamente vita al carosello di disperazione e lacrime cui siamo talmente abituati da liquidare con disprezzo, a tratti indifferenza l’inquietudine di chi, guardando dall’esterno, sgrana gli occhi chiedendosi come sia possibile lasciarsi ammazzare così. Come cani.
Trapassare da vita a ricordo di vita, smarrirsi rapidamente, sommersi dal fluire di una quotidianità fatta di SMS e “vasche” in centro, caffè italiani e boutique di serie B, con il Male che è dovunque, e la fonte del male che rimane lì, impunita.
Per poi tornare a morire a trent’anni anni, lasciando magari un marito o un figlio piccolo. Morire con una vita davanti, o dietro. Non importa. Una bara, bianca come quella che ho salutato oggi, che esce dalla chiesa. In tanti stendono le braccia per toccarla, poi portano le dita alla bocca, o si segnano con la croce nel dare un ultimo saluto al feretro.
Fuori, ad accompagnare la chiusura del portellone dell’auto su cui viene caricata, una colonna sonora straziata e straziante, le urla dei parenti. Quante volte le ho sentite. Ma quante altre volte ancora dovrò sentirle? Fino a quando ci lasceremo ammazzare così? Fino a quando faremo finta che è un problema che tocca solo gli altri? Smetteremo, un giorno, di soggiacere al ricatto del grande Inquinatore, che cista seppellendo tutti? Riusciremo a liberarci dalla fanghiglia burocratica che finisce per avviluppare qualunque Amministrazione si insedi a Palazzo di Città? O forse l’errore è che Palazzo di Città non guarda alle ciminiere. Forse il tramonto, dagli uffici di sindaco e assessori, è ancora quella meraviglia che lasciava ammaliato Tommaso Niccolò D’Aquino, tanto da scriverne le Delizie Trentine? Se è così, scendete in strada e girate l’angolo, guardate verso nord: poco oltre il ponte di pietra, con gli artigli che si stendono verso il cielo e che a guardare la città dal mare coprono in una cappa color ruggine l’aria che tutti respiriamo, c’è la morte.
dott. Daniele Massari dalle Lettere del Corriere del Giorno
lunedì 9 giugno 2008
Lettera aperta al sindaco di Taranto sulle tante morti per cancro
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