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lunedì 9 giugno 2008

Lettera aperta al sindaco di Taranto sulle tante morti per cancro

Caro Signor Sindaco di Taranto, torno adesso dal funerale di un amico morto di cancro. Io non so se Lei, se tra i miei concittadini esiste qualcuno che porta il conto dei funerali a cui ha presenziato, dei parenti o degli amici morti ammazzati non dalle cosche, non dalla Sacra Corona Unita o dalla Mafia o dalla Camorra, ma dall’inquinamento. Torno adesso ed ho ancora addosso l’odore forte del sudore di mille persone in questa giornata umida in cui sono stato calca e folla attorno a una bara. E non ho il coraggio di guardarmi allo specchio. Allora rivolgo a Lei la domanda che mi martella le tempie, e chissà che prima o poi non mi giunga risposta. Quanti ancora dovranno morire? Vittime di una guerra silenziosa, schierati come bestie da macellare: così giacciamo in attesa che tocchi a noi, che il Male prenda qualcuno che ci è vicino, per dare nuovamente vita al carosello di disperazione e lacrime cui siamo talmente abituati da liquidare con disprezzo, a tratti indifferenza l’inquietudine di chi, guardando dall’esterno, sgrana gli occhi chiedendosi come sia possibile lasciarsi ammazzare così. Come cani.
Trapassare da vita a ricordo di vita, smarrirsi rapidamente, sommersi dal fluire di una quotidianità fatta di SMS e “vasche” in centro, caffè italiani e boutique di serie B, con il Male che è dovunque, e la fonte del male che rimane lì, impunita.
Per poi tornare a morire a trent’anni anni, lasciando magari un marito o un figlio piccolo. Morire con una vita davanti, o dietro. Non importa. Una bara, bianca come quella che ho salutato oggi, che esce dalla chiesa. In tanti stendono le braccia per toccarla, poi portano le dita alla bocca, o si segnano con la croce nel dare un ultimo saluto al feretro.

Fuori, ad accompagnare la chiusura del portellone dell’auto su cui viene caricata, una colonna sonora straziata e straziante, le urla dei parenti. Quante volte le ho sentite. Ma quante altre volte ancora dovrò sentirle? Fino a quando ci lasceremo ammazzare così? Fino a quando faremo finta che è un problema che tocca solo gli altri? Smetteremo, un giorno, di soggiacere al ricatto del grande Inquinatore, che cista seppellendo tutti? Riusciremo a liberarci dalla fanghiglia burocratica che finisce per avviluppare qualunque Amministrazione si insedi a Palazzo di Città? O forse l’errore è che Palazzo di Città non guarda alle ciminiere. Forse il tramonto, dagli uffici di sindaco e assessori, è ancora quella meraviglia che lasciava ammaliato Tommaso Niccolò D’Aquino, tanto da scriverne le Delizie Trentine? Se è così, scendete in strada e girate l’angolo, guardate verso nord: poco oltre il ponte di pietra, con gli artigli che si stendono verso il cielo e che a guardare la città dal mare coprono in una cappa color ruggine l’aria che tutti respiriamo, c’è la morte.
dott. Daniele Massari dalle Lettere del Corriere del Giorno

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