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sabato 25 ottobre 2008

DOCUMENTI: Gli sperperi degli Atenei

Nel 2006, ben 19 Atenei (su 66) spendevano più del 90 per cento del finanziamento statale in stipendi. Nel 2007 sono diventati 27. Sulla base di questa tendenza, nel 2008 il numero degli Atenei con bilanci in dissesto è destinato ad aumentare. La crisi finanziaria delle Università, documentata nel Libro Verde predisposto dalla Commissione tecnica per la finanza pubblica, si è consumata drammaticamente dal 2000 ad oggi. Ma non è stata provocata dai provvedimenti presi dal Governo e approvati dal Parlamento con la Legge 133/2008. Il dissesto finanziario scandaloso (durato 9 anni) è stato determinato dai rettori e dalle maestranze degli Atenei che hanno partecipato (non senza lotte intestine) al saccheggio dei bilanci senza mai mostrare segni di ravvedimento. Mai una protesta. Mai una denuncia. Mai una manifestazione contro lo sfascio che ora abbiamo sotto i nostri occhi.

Nel contesto di una cura dimagrante che il Governo in carica ha doverosamente imposto alla spesa pubblica, l’Università è incappata in un taglio del 10 per cento dei fondi trasferiti dal Governo agli Atenei. Una contrazione molto severa ma inevitabile, che si abbatte su una situazione finanziaria critica. Fa riflettere l’irresponsabilità di tanti baroni responsabili dello sfascio che appoggiano la protesta degli studenti solo per difendere i propri privilegi.

Un documento presentato da un docente dell’Università di Roma è una summa di disinformazione, ma ha raccolto più di duemila adesioni, e questo è un dato preoccupante. A Firenze, il Consiglio di Facoltà di Scienze Politiche ne ha stilato un altro in cui si afferma che “la conoscenza è un bene comune” e che “l’istituzione universitaria deve essere considerata anch’essa un bene comune”: dichiarazione largamente condivisibile. Però, poi si denuncia che “i tagli indiscriminati rappresentano un’implicita denuncia di assenza di strategia”; un’affermazione inesatta perché con l’autonomia concessa da Luigi Berlinguer la strategia è disegnata a livello di Ateneo e non dal ministro dell’Economia.

L’assenza di strategia, dunque, va cercata ai vertici degli Atenei, e non a Palazzo Chigi. Poi arriva la denuncia: “Se inoltre i provvedimenti messi in essere dal Governo hanno anche la finalità di sanzionare una gestione degli Atenei” allora si miri “ad individuare quegli Atenei nei quali ciò si è verificato ed eventualmente procedere con misure eccezionali e radicali sui singoli casi”. In questo passo si riconosce l’esistenza del dissesto finanziario e si ammette allo stesso tempo che il colpevole c’è, e che qualcuno provveda a scoprirlo. La cosa stupefacente è la sede in cui è stato approvato questo documento. Si tratta di uno dei Consigli di Facoltà dove si è proceduto allegramente – come denunciato dalla Commissione tecnica per la finanza pubblica – “all’uso disinvolto …dell’autonomia universitaria, in particolare nei riguardi del reclutamento e della promozione del personale docente”. Che i corresponsabili del dissesto finanziario lancino accuse contro ignoti la dice lunga sulla affidabilità di questi ‘lavoratori della conoscenza’. La situazione è, comunque, seria. Non c’è alcun dubbio sulla necessità di soccorrere gli Atenei attualmente soffocati da situazioni di bilancio insostenibili. Ma quando si potranno di nuovo aprire i cordoni della borsa, si dovrà saper distinguere l’istituzione – che va tutelata – dai dirigenti che l’hanno finanziariamente massacrata.

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