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lunedì 29 dicembre 2008

2008: L'ANNO DELLA SVOLTA

Per l’Italia il 2008 è stato l’anno della svolta, perché i cittadini col voto di aprile hanno scelto di semplificare la rappresentanza politica votando in massa per modernizzare il Paese. Il 70% degli elettori ha infatti votato per i due principali partiti rafforzando il bipolarismo.
La politica ha il dovere di seguire le indicazioni del popolo, ha la responsabilità di decidere ma anche il dovere di ascoltare, e oggi deve capire che non può tornare indietro, perché la gente considera il bipolarismo un processo irreversibile. Purtroppo la politica italiana resta un’anatra zoppa: ad una maggioranza forte e un governo che governa, si contrappone l’opposizione prigioniera dei vecchi schemi ideologici.

I buoni propositi di inizio legislatura sono infatti durati lo spazio di una primavera, e questo è ancora più grave di fronte alla crisi internazionale in atto. Per superare questa crisi c’è infatti bisogno del contributo di tutti. Il governo centrale non può essere il solo soggetto chiamato ad operare. Ogni istituzione, pubblica e privata, deve cooperare per attutire gli effetti della recessione che sta colpendo l’Occidente.

Il governo la sua parte la sta facendo, e ha avuto il merito di saper prevedere lo tsunami finanziario che stava arrivando, blindando per tre anni il bilancio dello Stato con una manovra senza precedenti. Berlusconi e Tremonti si sono poi mossi per primi, in Europa e nel mondo, indicando la strada da seguire per rassicurare i risparmiatori, mettere al sicuro il sistema bancario, garantire liquidità alle imprese e varare aiuti per le fasce sociali più deboli. Eppure la sinistra ha accusato il governo di fare solo annunci, senza tener conto che le riforme richiedono fermezza nei propositi e gradualità di applicazione, come sta avvenendo - ad esempio - per quella della scuola.

Un’opposizione che si definisce riformista non può tenere un atteggiamento sistematico di chiusura alle riforme necessarie per rinfocolare lo scontro sociale, che specialmente ora è un esercizio irresponsabile, perché si riverbera contro le fasce più deboli della popolazione.
Da quale pulpito viene al governo l’accusa di immobilismo! Sembrano oramai passati anni luce, ma vogliamo ricordarci invece come fino alla primavera scorsa ci sia stato un governo affetto da paralisi totale, bloccato dalle sue enormi contraddizioni e congelato da un sistema (quello sì perfetto) di veti incrociati? Vogliamo ricordarci cosa possono avere significato un paio d’anni così mentre il resto del mondo viaggiava a velocità supersonica, nonostante si stesse preparando la crisi finanziaria?

Detto questo, nel tracciare il bilancio del 2008, occorre ricordare sempre due cose.
Primo. Anche se sembra una vita, il governo Berlusconi è al lavoro da neppure sei mesi. E non stiamo qui a ripetere le tantissime cose fatte in un lasso di tempo pur così breve.
Secondo. Nonostante il momento di estrema difficoltà, questo governo continua a lavorare senza cullarsi sugli allori del consenso popolare che continua ad avere, ed anche questo è un dato molto significativo: nei periodi di crisi, solitamente, viene penalizzato chi è al governo, mentre nell’Italia del 2008 i sondaggi premiano l’esecutivo, a fronte di un’opposizione massimalista e inconcludente, per di più travolta dal boomerang delle inchieste giudiziarie.

Sembra in effetti di essere tornati al ’92, quando ogni mattina i giornali radio annunciavano nelle prime edizioni retate di politici implicati in casi di corruzione. La differenza è che allora i comunisti reduci dal crollo del Muro di Berlino uscirono praticamente immacolati dalle inchieste, vedendo così confermato il teorema della superiorità morale enunciato da Berlinguer, mentre oggi nell’occhio del ciclone c’è il Pd, cioè il maggior partito della sinistra.
Dopo sedici anni l’Italia ha scoperto che l’obbligatorietà dell’azione penale vale erga omnes, e non solo nei confronti di Berlusconi, delle sue aziende e del centrodestra. Il Partito democratico si era presentato sulla scena politica con due missioni: l’innovazione politica e la moralità pubblica. La prima è sicuramente fallita, mentre sulla seconda aspettiamo l’esito delle inchieste giudiziarie, perché siamo garantisti e pensiamo che al Paese non serva il ritorno al vecchio clima di Tangentopoli, in cui di notte tutti i gatti erano bigi e non si distingueva più il grano dal loglio. L’Italia ha bisogno di una politica trasparente e di una magistratura autonoma, ma non di commistioni improprie e di quel rapporto perverso tra giustizialismo e politica che ha fatto le fortune del Pd e che ora lo sta invece divorando.

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